Il 27 gennaio 2019 alle ore 18:00 presso il Salone G. Beltrani, in occasione del Giorno della Memoria l’Assessorato alle Culture della Città di Trani organizza un evento di altissimo profilo aperto alla cittadinanza.
“Quatuor pour la fin du temps”
Musica: Olivier Messiaen (1908 – 1992)
1. Liturgie de cristal
2. Vocalise, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps
3. Abîmes des oiseaux
4. Intermède
5. Louange à l’éternité de Jésus
6. Danse de la fureur pour les sept trompettes
7. Fouillis d’arcs-en-ciel, pour l’Ange qui annonce la fin du Temps
8. Louange à l’immortalité de Jésus
Organico: violino, clarinetto, violoncello, pianoforte
Composizione: Campo di concentramento di Görlitz, 1940
Prima esecuzione: Görlitz, Campo di concentramento, 15 gennaio 1941
Prima esecuzione pubblica: Parigi, Théâtre des Mathurins, 24 giugno 1941
Edizione: Durand & Cie, Parigi, 1942
Guida all’ascolto di Sandro Cappelletto
Stalag di Görlitz, in Slesia: una cittadina che oggi segna il confine tra Germania e Polonia. L’organizzazione militare tedesca aveva assegnato a quel campo il numero identificativo VIII A. Una lapide all’ingresso, scritta in polacco, ricorda che dal 7 settembre 1939 all’8 maggio 1945, quando sei giorni dopo la resa della Germania il campo venne liberato dall’esercito russo, transitarono lì centoventimila prigionieri di guerra: “L’elevato numero di morti era causato dalla fame, dal freddo, dalle malattie e dai brutali omicidi commessi dai responsabili”.
Durante il periodo della permanenza di Olivier Messiaen, i prigionieri erano per la maggior parte Francesi e Polacchi, con dei Belgi e dei Serbi; verranno poi gli Inglesi, i Russi, gli Statunitensi. Dopo l’8 settembre 1943, anche molti Italiani; con intento punitivo, furono sistemati nelle baracche già assegnate ai Russi.
La sera di mercoledì 15 gennaio 1941, mentre la temperatura esterna oscillava attorno ai 15 gradi sotto zero, nella baracca 27 B e per un pubblico formato da cinquemila compagni di prigionia, è stata creata una musica che evoca e annuncia la “Fine del Tempo”. Composta durante la segregazione e, come ricorderà l’autore, “scritta per i musicisti e gli strumenti che avevo, per così dire, sotto mano; pianoforte, violino, violoncello, clarinetto”.
Il pianoforte era un modesto verticale e molti tasti della parte destra, dopo essere stati percossi, restavano abbassati. Al violoncello mancava una corda.
Così Messiaen descrive il proprio arrivo allo Stalag: “Come tutti gli altri prigionieri, dovetti spogliarmi. Nudo com’ero, continuavo a stringere, con uno sguardo spaventato, un sacchetto che conteneva tutti i miei tesori. E cioè una piccola libreria di partiture d’orchestra in formato tascabile che sarebbero state la mia consolazione quando, come gli stessi Tedeschi, avrei sofferto la fame e il freddo. Questa eclettica, piccola libreria, andava dai Concerti Brandeburgesi di Bach alla Suite lirica di Alban Berg”.
Messiaen, il già celebre violoncellista Etienne Pasquier e il clarinettista Henry Akoka vengono catturati insieme nel giugno 1940. Dopo tre settimane trascorse in un campo nei pressi di Nancy sono destinati a Görlitz, dove incontrano il giovane violinista Jean Le Boulaire, prigioniero anche lui dall’inizio dell’estate 1940, catturato negli ultimi giorni che precedettero la vittoria tedesca, la resa della Francia, la proclamazione dell’armistizio, firmato il 25 giugno 1940.
Messiaen e Pasquier verranno liberati nel febbraio 1941, in quanto ritenuti “soldati musicisti”. Uomini, cioè, chiamati alle armi per suonare nelle bande militari più che per combattere. Qualifica non riconosciuta a Le Boulaire – non era noto come Messiaen e Pasquier, non poteva dimostrare di svolgere un’attività di musicista professionista come Akoka – che dovette attendere ancora qualche mese.
Anche Akoka era pronto a saltare sul camion che avrebbe riportato in Francia i “soldats musicien”, ma all’ultimo istante un ufficiale tedesco gli intimò di scendere. Alla sua meraviglia, il militare rispose: “Ebreo”.
Il 3 ottobre 1940 il governo collaborazionista di Vichy aveva preso le prime misure contro i cittadini francesi di religione ebraica: “Devono ritenersi esclusi dai diritti elettorali, da posizioni di responsabilità nel servizio civile, giudiziario, dal servizio militare; dalle posizioni che possano influenzare la vita culturale (insegnamento nelle scuole pubbliche, attività giornalistica o editoriale, direzioni di film o di programmi radio)”. Ad Akoka non restava che la fuga: era del resto convinto che “un prigioniero, è fatto per evadere”. Fuggì senza nulla, ma mai avrebbe rinunciato al suo clarinetto. Dal 1943 si unì alla Resistenza francese. Non rivedrà più suo padre [Abraham]: arrestato dalla polizia francese il 13 dicembre 1941, venne rinchiuso nel campo di Pithiviers. Il 23 settembre 1942 raggiunse con altri mille ebrei francesi Auschwitz. Sessantacinque uomini vennero destinati a diversi lavori nel Lager, gli altri furono gasati nei giorni immediatamente successivi. Abraham Akoka era tra questi.
Finita la guerra, tornati alle loro attività, i primi interpreti del Quartetto non si rivedranno più, tutti e quattro insieme; né, tutti e quattro insieme, lo suoneranno ancora. Etienne Pasquier morirà il 14 dicembre 1997 in una casa di riposo a Neuilly-sur-Seine. Jean Le Boulaire, che abbandonerà presto la musica, diventando attore di teatro e di cinema col nome d’arte di Jean Lanier, venne colpito da un ictus e morì il 9 agosto 1999. Henry Akoka era stato il primo ad andarsene. Nel 1971, raggiunta l’età della pensione e lasciata l’Orchestre Philharmonique de Radio France, iniziò ad aiutare la moglie Jeannette nella gestione della loro farmacia di Parigi. Morirà di cancro il 22 novembre 1975.
Pochi giorni dopo, Messiaen scrisse una lettera alla vedova: “Sono sconvolto, profondamente colpito nell’apprendere della morte del mio amico Henry Akoka. Lo amavo e lo rispettavo molto, come uomo, come amico, come musicista. Eravamo assieme nello Stalag VIII A a Görlitz (Slesia), ed è stato lui, nello stesso Stalag, a suonare il clarinetto alla prima esecuzione del mio Quartetto per la fine del Tempo. Poi, ha suonato spesso le mie opere, in particolare nell’Orchestra Filarmonica di Radio France. Era un uomo affascinante, profondamente intelligente, e un vero artista. Perdiamo molto, nel perderlo, ed è con tutta la mia ammirazione musicale e tutto il mio affetto che vi porgo le mie condoglianze”.
Nel 1981, il compositore declinò l’invito a recarsi a Görlitz per assistere ad un’esecuzione del Quartetto, quarantanni dopo la sua creazione.
Ma nel 1992, pochi mesi prima di morire, presenziò alla riunione dell’Amicale Nationale des Anciens Prisonniers de Guerre des Oflags et Stalags VIII e partecipò ad una funzione religiosa che commemorava i compagni di prigionia scomparsi durante l’ultimo anno.
Nel 1964, André Malraux, allora ministro francese della cultura, gli aveva chiesto di comporre un Requiem in memoria dei caduti della Seconda Guerra Mondiale. Il compositore che diceva di sé: “Sono nato credente”, rispose: “Perché morti? lo credo nella resurrezione”. E chiamò il lavoro Et expecto resurrectionem mortuorum.
A quale tempo pensa Messiaen quando, scrivendo il Quartetto, ne invoca la fine?Apocalisse, rivelazione. E dall’Apocalisse di Giovanni, scritta in greco, attorno alla fine del primo secolo dopo Cristo, probabilmente nell’isola di Patmos durante le persecuzioni contro le prime comunità cristiane ordinate dall’imperatore Domiziano (nel testo Roma viene paragonata alla bestia, che agisce istigata da Satana), Messiaen sceglie un solo passaggio, un’unica immagine:”E vidi un altro Angelo possente, che scendeva dal cielo avvolto da una nube; sopra il capo aveva l’iride, il suo volto era come il sole e le gambe sembravano colonne di fuoco. Teneva in mano un piccolo libro aperto e pose il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, poi gridò come ruggisce un leone. A questo grido i sette tuoni fecero sentire le loro voci. E quando i sette tuoni ebbero parlato, io mi accingevo a scrivere, ma sentii una voce dal cielo che diceva: «Metti sotto sigillo le cose di cui hanno parlato i sette tuoni e non le scrivere». Poi, l’Angelo che avevo visto in piedi sul mare e sulla terra alzò la mano destra verso il cielo e per colui che qui vive per tutta l’eternità, che ha creato il cielo e quanto esso contiene, la terra e quanto in essa vi è, il mare e quanto racchiude, fece questo giuramento: «Non vi sarà più dilazione di tempo, ma nel giorno in cui si farà sentire la voce del settimo Angelo e quando si disporrà a suonare la tromba, allora il Mistero di Dio sarà compiuto, come egli stesso ne ha dato l’annuncio ai suoi servi i profeti»”. [Apocalisse, X, 1-7).
Anni dopo, ricordando le parole pronunciate davanti ai compagni di prigionia la sera della prima esecuzione, il compositore rivelerà: “Innanzitutto ho detto loro che il Quartetto era scritto per la fine del tempo, senza alcun gioco di parole con il tempo della prigionia, ma in relazione alla fine delle nozioni di passato e di avvenire, ovvero con l’inizio dell’eternità”.
Una pubblicazione del 1978, dedicata ai suoi settantanni, gli offrì l’opportunità di altre riflessioni: “Quando ero prigioniero, l’assenza di cibo mi faceva fare dei sogni colorati: vedevo l’arcobaleno dell’Angelo e strani turbinii di colori. Ma la scelta dell”‘Angelo che annuncia la fine del Tempo” si basa su ragioni molto più serie. Come musicista ho lavorato sul ritmo. Il ritmo è per sua essenza cambiamento e divisione. Studiare il cambiamento e la divisione significa studiare il Tempo. Il Tempo – misurato, relativo, fisiologico, psicologico – si divide in mille modi, il più immediato dei quali è una conversione perpetua dell’avvenire nel passato. Nell’eternità questi problemi non esisteranno più, ma sono i problemi che mi sono posto nel mio Quartetto per la fine del Tempo. A dire il vero essi hanno orientato tutte le mie ricerche sonore e ritmiche da una quarantina d’anni a questa parte”.
Nella Piccola teoria del mio linguaggio ritmico, pubblicata nel 1942 in occasione della prima edizione a stampa del Quartetto, l’autore è generoso di indicazioni riguardo al suo “linguaggio ritmico speciale”:”Oltre a una segreta predilezione per i numeri primi (5, 7, 11 ecc.), le nozioni di ‘misura’ e di ‘tempo’ sono sostituite dal sentimento di un valore breve (la doppia croma, per esempio) e delle sue moltiplicazioni libere, e anche da alcune ‘forme ritmiche’ che sono: il valore aggiunto, i ritmi aumentati o diminuiti, i ritmi non retrogradabili, il pedale ritmico”: aumentare, diminuire, innervare di scansioni non prevedibili la durata dei suoni, la metrica della narrazione, nell’alternanza vivacissima – le “moltiplicazioni libere” – di brevi e di lunghe.
Il “ritmo non retrogradabile” appare come l’architrave della concezione ritmica di Messiaen. È un ritmo che si può leggere da destra a sinistra o viceversa, e sempre “l’ordine dei valori resta lo stesso”. Un ritmo dinamico, che non insegue una meta e tende a riproporre se stesso, però in una molteplicità di varianti che gli esecutori devono rendere nel modo più fantasioso: “Gli interpreti non abbiano timore delle sfumature esagerate, degli accelerando, dei rallentando, di tutto ciò che rende un’interpretazione viva e sensibile”.
Il nemico è l’uniformità del tempo prescelto. Il tempo deve invece essere rubato, cioè inventato, sottratto alla prevedibilità, restituito – secondo l’intuizione di Claudio Monteverdi – al “tempo dell’anima”.
Il Quartetto ha otto movimenti: “L’otto della luce indefettibile, della pace inalterabile”. È la circolarità senza inizio e senza fine del Tempo oltre il tempo, è l’immagine prediletta per delineare l’orizzonte inseguito e sfuggente dell’eternità.”Quanto al carattere apocalittico, si conosce male l’Apocalisse se vi si vede soltanto un accumulo di cataclismi e di catastrofi; l’Apocalisse contiene anche luci grandi e meravigliose seguite da silenzi solenni. D’altra parte il mio scopo iniziale era l’abolizione del Tempo, cosa infinitamente misteriosa e incomprensibile alla maggior parte dei filosofi del Tempo, da Platone a Bergson”.
Un mistero nel quale Messiaen sembra volersi confondere. Il cerchio eracliteo del tempo che sempre scorre e sempre ritorna, annulla ogni determinazione e realizzazione storica dell’uomo e al tempo nemico dell’anima si contrappone il Tempo senza tempo, libero, luminoso, svettante, del canto immutabile da sempre e per sempre degli uccelli: “Terzo movimento – Abisso degli uccelli. L’abisso è il Tempo, con le sue tristezze, le sue stanchezze. Gli uccelli sono il contrario del Tempo; sono il nostro desiderio di luce, di stelle, di arcobaleni, di vocalizzi giubilanti”. I due abissi. Jean Le Boulaire ricordava che Messiaen insisteva perché nell’ottavo movimento del Quartetto “si sostenesse la lentezza” del tempo indicato (Estremamente lento e tenero, estatico), esattamente come lo aveva chiesto a Pasquier nel quinto movimento (Infinitamente lento, estatico). Il tempo doveva essere “lento in modo inumano, ma questa lentezza non annoia. Al contrario, ho l’impressione che questo mondo che non conosciamo debba avere in sé qualche cosa di ritmico, ma di estremamente calmo, calmo, calmo. Come una superiorità del silenzio. Quello che mi sembra bello è questo musicale silenzio. In questo momento, abbiamo davvero abbandonato la terra”.
Pierre Boulez, che di Messiaen è stato allievo, così scrive in Punti di riferimento: “Messiaen dava al tempo un’attenzione che gli avevano accordato prima di lui pochi compositori; inoltre, per organizzarlo, usava mezzi assolutamente originali che scioglievano il ritmo dalla metrica tradizionale. Annetteva al ritmo una tale importanza che gli accadeva di organizzarlo prima di ogni altro aspetto del linguaggio; le strutture ritmiche potevano benissimo precedere la scrittura propriamente detta, in quanto quest’ultima era in qualche modo l’immagine di quelle. Inoltre, egli arricchiva il repertorio ritmico adattando al proprio lessico elementi di un linguaggio desunti da una ricerca “esterna”, elementi mutuati dall’India o forme della prosodia greca”.”Non vi sarà più dilazione di Tempo, il Tempo sarà esaurito”. È il paradosso estremo per un musicista: la musica è ritmo, misura, cambiamento, divisione. Come può esistere fuori dal tempo?La “continua conversione” cui si riferisce Messiaen è anzitutto il procedere della memoria musicale, se l’atto stesso di ascoltare richiede il simultaneo esercizio del vivo ricordo di ciò che si è appena percepito e della predisposizione a intendere i nuovi suoni che stanno nascendo.
Ma lo svolgersi della musica e la condizione dell’ascolto possono farsi metafora civile. Noi siamo la nostra memoria e conservare memoria, di noi e di noi nel tempo della storia, è il requisito inderogabile per conoscere radici, identità, percorsi. La nostra memoria e le nostre rimozioni: quello che riusciamo a ricordare, quanto preferiamo cancellare.
La musica, che scorre nel tempo, mentre nasce già muore, ma quando svanisce persiste immateriale nel ricordo e sospende la misura del tempo; lo dilata nell’interiorità dell’ascolto, in quello spazio che si allaga di affetti e di memorie, nella “continua conversione dell’avvenire nel passato”. Può superare il dolore e schiudere, anche nelle occasioni più atroci, l’orizzonte della speranza e della bellezza, senza le quali per un artista appare impossibile vivere e creare.
L’Angelo che annuncia la fine del Tempo: il suo mistero non si può rappresentare, non si può vedere. È un mistero che chiama la musica.
Quella sera, nella baracca di Görlitz, un anonimo prigioniero commentò così il Quartetto: “Questa musica ci riscatta tutti. Un riscatto sulla prigionia, la mediocrità e soprattutto, su noi stessi”. L’anonimo redattore del breve articolo per “Le Lumignon”, il mensile dello Stalag stampato dai prigionieri francesi dove troviamo la cronaca della prima esecuzione del Quartetto per la fine del Tempo, riportando quell’opinione, annotava: “Può esistere un elogio più giusto di questo profondo e doloroso pensiero? La cosa fondamentale, nell’ascoltare questa musica, non è ritornare dove siamo, ma a ciò che siamo”.
Sandro Cappelletto
Esecutori:
Violino: Alessandro Perpich
Violoncello: Marco Dal Sass
Clarinetto: Carlo Failli
Pianoforte: Pierluigi Camicia